Essere sè stessi. Un concetto semplice e difficile nello stesso tempo. Difficile perché per molte persone questo stato dell’essere è confuso e incerto oppure, talvolta, impossibile da raggiungere. Non è sempre qualcosa di consapevole, magari nella nostra vita tutto apparentemente va bene: abbiamo un lavoro, abbiamo una famiglia di cui siamo contenti e la nostra vita ci sembra assolutamente normale. Non abbiamo nessun motivo per lamentarci! Eppure siamo spesso insoddisfatti e stanchi e se ci fermiamo un pò di più a pensare a quella relazione o a quella particolare situazione sul lavoro o in famiglia, sentiamo come uno scomodo ed estraneo senso di inautenticità; come se stessimo giocando un gioco, interpretando un ruolo. Allora cerchiamo di sfuggire a questa spiacevole e insensata sensazione, in tutti i modi che conosciamo: distraendoci, iniziando un nuovo hobby, uscendo più spesso. Facciamo cose. Ma questo non sempre ci fa sentire meglio; non è la medicina e la cura del nostro malessere come può essere l’aspirina quando ci prendiamo un raffreddore. La verità è che fare ci allontana dalla dimensione dell’essere; ma non è colpa nostra, spesso non siamo consapevoli della mancanza di autenticità del nostro comportamento.
Il primo passo della terapia, dice Lowen, è “scoprire” che ruolo gioca una persona nella sua vita. Che cosa significa questo? Significa che spesso dietro a un sorriso si nasconde tristezza, che dietro alla virilità si nasconde la propria paura.
La prima parola che il bambino impara per riferirsi a sè è il pronome ME. Questo indica uno stato “passivo” dell’essere. Intorno ai 4-5 anni il bambino inizia a dire IO e generalmente lo fa puntando il dito alla tempia. IO indica uno stato ” attivo”, un’azione consapevole e intenzionata che parte da una precisa volontà. Esiste poi un altro termine per indicare il nostro essere, ed è la parola SE’; Questo non ha a che fare né con uno stato attivo né con uno stato passivo. Per le filosofie orientali coincide con il concetto di hara e risiede nel ventre. Chi possiede hara è in armonia sia con il mondo interiore che con il mondo esteriore.
Lowen utilizza una suggestiva metafora per definire questi diversi livelli del sè: l’IO è come il comandante in capo della personalità. il SE’ ne è l’esercito.
L’analisi bioenergetica si caratterizza come “terapia dell’essere”, ovvero come una terapia del sé. Il sé è il corpo ( e la mente) che si manifesta indipendentemente dal controllo dell’IO e della volontà della persona. Se ci si identifica con il corpo bisogna vivere rispettandolo, senza eccessi o abusi, e con un adeguato esercizio fisico. Ma non solo. Non si può essere qualcuno, dice Lowen, tramite il fare; bisogna imparare a “lasciarsi essere”. La fonte della maggior parte dei disturbi psicologici deriva dalla tendenza ( inconsapevole) al trattenersi e al tenersi su. Ci tratteniamo contro la rabbia, la tristezza, la paura. Tratteniamo l’amore e il pianto.
Una cura efficace può consistere, dunque, nel liberare e favorire il “lasciare andare” attraverso tecniche e esercizi specifici, per aiutare la persona a mettersi “in contatto” con le sue sensazioni, accettarle e, gradualmente, imparare ad esprimerle.
Let it be
Lascia che sia
Beatles
Articolo a cura della dott.ssa Elena Casoli
Psicologa psicoterapeuta a Reggio Emilia
Dott.ssa Elena Casoli
Psicologa e Psicoterapeuta
Reggio Emilia
Iscritta all’Albo Professionale degli Psicologi della regione n. 5270
Laurea magistrale in psicologia nel 2004 presso l’Università degli Studi di Padova
P.I. 02432700355
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